“Ecco come nacque il mostro di acciaio sulla strada regionale 11”, il racconto di chi lo ha costruito | ilbacodaseta

2022-04-19 07:32:33 By : Mr. Grace Cheng

La notizia della demolizione del “mostro di acciaio” di Palazzolo ha generato nelle settimane scorse numerosi commenti da parte di chi transitando per la regionale 11 era da anni abituato alla sua immagine imponente in mezzo alla campagna.

La redazione del Baco è stata nei giorni successivi contattata da chi, quel capannone, lo aveva a suo tempo materialmente costruito e quindi con molta curiosità ho fissato un incontro con Remo Saccomani, energico settantacinquenne che mi accoglie con la gentile consorte nella loro graziosa abitazione di San Michele alle porte di Verona.

Remo, mi racconti un po’ come è nato quel capannone che tanto ha fatto discutere su Facebook nei giorni scorsi. Premetto che pochi mi chiamano Remo, per tutti sono “Canossa”, soprannome ereditato da mio padre. Quando mia nuora mi ha segnalato l’articolo a riguardo, mi sono veramente emozionato e ho immediatamente deciso di chiamarvi; sono legato profondamente a quello che è stato il mio primo lavoro importante anche se, sin dall’età di 7 anni mi son sempre dato da fare, prima come ‘bocia apprendista’ e poi dai 14 anni come carpentiere e operatore di macchine utensili presso un’officina. In quella occasione conobbi Gino Bertolini, titolare della ditta CAIM, magazzino di macchine utensili pesanti sia industriali che agricole che aveva sede alla Croce Bianca di Verona. Di ritorno dal servizio militare alla fine degli anni Sessanta, sapendo che Bertolini cercava un operaio, mi sono presentato e come ditta individuale ho cominciato a lavorare per lui inizialmente sistemando macchine utensili. Un giorno mi prese da parte e mi disse: “Voglio costruire un capannone in ferro per destinarlo come deposito per roulotte in affitto e rimessaggio barche e piccoli natanti al servizio dei turisti che cominciano ad affollare la zona del basso lago di Garda”. La cosa mi entusiasmò immediatamente anche se appresi che il capannone dovevo costruirlo da solo, con l’aiuto di una gru a ponte che era presente nel magazzino di Verona.

Quindi non si spaventò del nuovo incarico? Per niente! Qualche giorno dopo cominciarono ad arrivare i materiali e mi fu messa a disposizione una montagna di tralicci che Bertolini diceva fossero alcune torri acquistate in stock dall’esercito. Fece poi arrivare una buona quantità di lamiere da 1 cm e comperò dalla Marina militare 20 quintali di elettrodi per saldatura. Incominciai il lavoro facendo le dime, tagliando le lamiere per basi e testate, per poi trasformare i vari tralicci in pilastri, capriate ed arcarecci.

Fu un lavoro molto lungo? La costruzione del manufatto durò circa 3 anni. Alla fine della costruzione dei pezzi, per realizzare quanto ideato, bisognava metterlo in opera. A Bosco di Palazzolo Bertolini era proprietario di un terreno per questo scopo e fu quindi chiamata una ditta specializzata per lo spianamento del terreno di campagna e per fare le buche dove inserire i plinti. Io e Bartolini, lui pensò al progetto, abbiamo poi costruito una gru trasformando una pala cingolata, mettendo un braccio, un contrappeso ed un argano. In seguito, costruii delle paratie unite con dei ganci per preparare i casseri necessari per la posa dei pilastri; fu trasportato poi il tutto sul luogo ed iniziammo a montare i pilastri.

Come venne eretto il capannone? Messo il cassero nella buca, si doveva poi inserire il pilastro con l’aiuto della gru; lo si doveva poi allineare, metterlo a piombo, livellarlo e assicurarlo al terreno con una gettata di cemento da 10 metri cubi portato da una betoniera. Con questo sistema riuscivamo ad innalzare un pilastro al giorno. Successivamente intervennero altre ditte specializzate per il montaggio delle capriate e degli arcarecci e c’era anche in programma di raddoppiare la superficie coperta (le capriate a tale scopo sono rimaste inutilizzate a terra, NdR) per poi chiudere con delle lamiere i lati del capannone. Ad un certo punto però non so se Bertolini avesse perso entusiasmo oppure se ci furono problemi burocratici, ma fu deciso, una volta arrivati alla copertura in eternit del capannone, di fermare i lavori.

Un’immensa opera incompiuta quindi? L’ultimo intervento sul cantiere fu la pavimentazione del piazzale, che ancora oggi dopo più di quarant’anni è in ottimo stato, e poi non si è più fatto nulla. E’ stato solo dato il permesso ad un contadino della zona di depositare al coperto le balle di fieno, e per evitare spiacevoli frequentazioni abbiamo posizionato dei grossi macchinari sui cancelli di accesso, ma poi tutta la zona è rimasta abbandonata per parecchi anni. La stessa copertura di eternit è resistita poco tempo e poi senza manutenzione è stata danneggiata dalle intemperie per poi venire successivamente rimossa.

E dopo quell’esperienza? Quello è stato il trampolino di lancio della mia professione; ho aperto una ditta e ho montato capannoni e viadotti per la Rivoli Spa in tanti cantieri a Verona, nel resto d’Italia e anche all’estero in Austria, Germania e Brasile.

Le dispiace che quello che chiamiamo “Il mostro di acciaio” sia stato demolito? Ho un po’ di nostalgia perché lo consideravo una mia creatura, però in effetti non era un bello spettacolo così arrugginito e lasciato all’abbandono. Io, comunque, finché la salute mi sorregge, con le mani in mano non so stare e se c’è da fare qualche lavoretto artigianale mi rinchiudo in cantina alla mattina e fino a che non finisco…